Educazione e riabilitazione del cane

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Educazione e riabilitazione del cane

In cinofila negli ultimi anni l’approccio al rapporto con il cane, all’educazione e alla riabilitazione ha subito una evoluzione.

In questo articolo vedremo un breve excursus e faremo esempi di metodi e approcci di educazione e riabilitazione del cane.

Educazione e riabilitazione del cane. L’evoluzione

Per decenni l’interazione con i cani si è basata su metodi duri, coercitivi, da “capobranco”.
Successivamente si è passati ai metodi gentili.

Ed infine agli approcci (cioè “atteggiamenti mentali” o insiemi di metodi) chiamati “cognitivo-relazionale”, “cognitvo-zooantropologico”, “sistemico-relazionale”, “referenza-relazionale”.

I metodi coercitivi

La coercizione mira a inibire il comportamento, il sintomo, di solito con metodi violenti (fisici e psicologici).
Non vengono analizzate emozioni, motivazioni, cause profonde.

Ci si appella alla teoria della dominanza a tutti i costi. Spesso anche i bisogni basici del cane non vengono rispettati (ne abbiamo parlato qui).

Alcuni esempi di metodi coercitivi

Si chiede al cane di camminare, anche durante una normale passeggiata, al piede della persona, senza poter annusare per terra o distrarsi.

Per insegnare un seduto, si fa trazione con un collare sul collo del cane e si allenta la presa quando si siede.
Per non far tirare al guinzaglio, si strattona il cane finché non smette di tirare. Invece per “correggere” comportamenti aggressivi verso stimoli, si spaventa ed inibisce il cane dal punto di vista psicologico e fisico.

Ciò inficia il benessere dell’animale e può addirittura peggiorare il comportamento, perché peggiora lo stato emotivo.

Il metodo “gentile” ai propri albori 

Nel momento in cui la visione del comportamento del cane e dell’addestramento ha cominciato ad evolversi, è stato introdotto il cosiddetto “metodo gentile”. Non si utilizzano violenze, ma rinforzi materiali come cibo o giocattoli oppure la lode da parte della persona per premiare comportamenti corretti.

Ad esempio, per insegnare il seduto, si adesca il cane con un boccone e glielo si da quando si siede. Oppure si loda quando il cane si siede spontaneamente e così via.

Per modificare comportamenti sgraditi si insegna al cane un comportamento alternativo e lo si allena (ad esempio tecnica di controcondizionamento), per poi chiederlo nella situazione problematica.

Riflessioni sul metodo gentile

Questo metodo rifiuta la violenza ma talvolta risulta meccanicistico, del tipo stimolo-risposta. Non è detto che vengano pienamente considerate le emozioni e le motivazioni del soggetto.

Secondo questa visione, inoltre, bisogna ignorare un cane che manifesta paura o eccitazione. La motivazione addotta è che, considerando l’animale, la paura o l’eccitazione vengono rinforzate. Il cane andrebbe premiato solo quando mostra un comportamento “calmo”. Così invece non è, poiché si rinforzano comportamenti, non le emozioni, e la comprensione e il rispetto degli stati emotivi dell’animale è fondamentale (ne abbiamo parlato qui).

Foto di Marco Buratti

Gli approcci cognitivi

Come abbiamo visto, vengono utilizzati vari termini per indicare gli approcci “moderni” ed aggiornati alla relazione cane-persona.

Al di là dei termini usati, ciò che li accomuna è il considerare l’animale come portatore di cognizione, di capacità di problem solving, di competenze relazionali, di motivazioni ed emozioni.

La visione dell’etologo Roberto Marchesini

Dal blog “Marchesini Etologia”: “Pensare che a muovere l’animale sia uno stimolo, che agisca come su una fonte che si limiti a reagire, non rende giustizia alla tensione proattiva e alla continua iniziativa che caratterizza il cane. L’approccio cognitivo pone il motore del comportamento nell’iniziativa del soggetto, non ritenendolo mai un’entità esclusivamente reattiva”.

Cosa significa applicare un approccio cognitivo

Significa cercare di capire cosa c’è dietro al comportamento manifestato, sia che sia “normale”, sia che appaia fuori dalla norma. Motivazioni, emozioni, relazioni, visione del mondo da parte del soggetto vengono valutate e tenute in considerazione.

Ci si deve quindi primariamente domandare:

  • che caratteristiche di specie e di razza ha l’animale che ho davanti?
  • le sue necessità psico-fisiche di base, sono soddisfatte? (ad esempio: moto adeguato, esplorazione del mondo, far parte di un gruppo…)
  • quale è la sua storia passata individuale? (familiare, come è stato socializzato, gestito…)
  • cosa sta provando? È in una situazione (ambientale, relazionale…) che lo fa stare bene emotivamente?
  • quali sono le motivazioni interne (tipiche di razze ed individuali) che lui esprime di più e che, se manifestate, lo appagano oppure creano problemi?
  • ha paure o inibizioni emotive?
  • ha dei punti di riferimento stabili? Il proprietario è una base sicura per lui?
  • gli stati emotivi del cane vengono compresi e accettati? Il cane viene confortato se gli serve aiuto?
  • al cane è data la possibilità di esprimere se stesso e di prendere decisioni?
  • cosa gli piace fare?

Quindi, il benessere psico-fisico e relazionale sono il punto di partenza.

E l’ “educazione”?

“Educare” deriva da “ex-ducere” = “tirare fuori” (le potenzialità), non significa inibire o comandare. Ma non dovrebbe neppure significare solo insegnamento di comandi, né applicazione di tecniche per tenere “sotto controllo” il cane.

Dopo aver risposto alle domande che vi ho proposto, si costruisce un processo educativo ad hoc per il soggetto e il sistema-famiglia.

L’acquisizione di competenze

Nella mia opinione un percorso educativo è volto a fornire al soggetto competenze.

Quindi, saper affrontare le varie situazioni in modo adattabile. Sapersi affidare al proprietario e accogliere le sue indicazioni. Saper prendere delle decisioni davanti ai problemi. Raggiungere un sufficiente livello di autocontrollo. Saper comunicare con chi lo circonda.

Queste alcune delle competenze che ritengo fondamentali.

Il ruolo del proprietario

Il proprietario dovrebbe rappresentare una base sicura per il proprio cane e dovrebbe imparare a comprendere i segnali comunicativi dell’animale, i suoi bisogni, le sue caratteristiche, in modo da costruire una relazione profonda e basata sulla fiducia e il rispetto.

Questa è la base per intraprendere poi qualsiasi percorso di educazione o riabilitazione o anche di preparazione ad un “lavoro” (ad esempio quello dei cani da assistenza) o ad una attività sportiva.

La riabilitazione comportamentale

In caso di patologie comportamentali è necessario andare ancora più in profondità nell’analisi del soggetto e delle relazioni. Questo permette di comprendere o comunque di fare ipotesi relativamente all’origine e alle caratteristiche del disagio dell’animale.

Il Medico Veterinario comportamentalista emette una diagnosi di patologia del comportamento e prescrive un percorso terapeutico. Esso può essere effettuato dal Medico in prima persona o in collaborazione con un Istruttore cinofilo con competenze in riabilitazione.

Gli approcci di tipo cognitivo sono molto funzionali a questo scopo. Permettono infatti di tutelare il benessere psicofisico dell’animale.

Gli obiettivi dei percorsi improntati sugli approcci cognitivi

Chi opera secondo questi dettami non mira primariamente a sopprimere o modificare il “sintomo”, cioè il comportamento manifestato. L’obiettivo è invece quello di far sentire meglio l’animale emotivamente. Di farlo sentire compreso e guidato.

Migliorando lo stato emotivo dell’animale e aiutandolo a trovare nuove strategie cognitive per affrontare le situazioni, si avrà poi anche una modificazione del comportamento.

L’importanza delle emozioni

E’ importante ricordare che in molti casi le emozioni sottostanti ad un comportamento sono la paura e/o la rabbia.

Quando un individuo prova una emozione di questo tipo, la prima via nervosa che si attiva è quella talamo-amigdala, con produzione di immediata risposta comportamentale e fisiologica. Questa può portare a comportamenti disfunzionali o “indesiderati”.

Solo successivamente si attivano la via talamo-corteccia (elaborazione cosciente) e il controllo della corteccia prefrontale sull’amigdala. In alcuni casi, in realtà, questi circuiti regolatori non si accendono.

L’importanza dei processi di apprendimento

Sia in ambito educativo che in quello riabilitativo è importante porre attenzione a come l’animale apprende. Le modalità di apprendimento possono essere diverse da soggetto a soggetto, ma l’apprendimento è facilitato se vi è uno stato emotivo positivo e il contesto non è stressante per il cane.

Purtroppo, accade spesso che eventi stressanti e traumi si fissino nella memoria dell’individuo e si instauri quindi un apprendimento con connotazioni negative.

Ne sono un esempio i processi di sensibilizzazione agli stimoli e di anticipazione emotiva.

La sensibilizzazione porta il cane a rispondere in modo disfunzionale e con intensità sempre maggiore a stimoli ai quali è stato e viene esposto.

L’anticipazione emotiva caratterizza gli stati d’ansia, in quanto l’animale entra in uno stato di allerta prima che si verifichi l’evento traumatico (che a volte in realtà non si verifica neppure).

La giusta via secondo gli approcci cognitivi

Secondo quanto detto fino ad ora, è quindi fondamentale comprendere le emozioni dell’animale e aiutarlo a gestirle. Ciò non si ottiene attraverso l’inibizione o i comandi, i quali non verrebbero recepiti, ed anzi, sovraccaricherebbero la mente del soggetto.

La via da percorrere è quella del supporto relazionale, dell’appagamento dei bisogni dell’animale. Importante è anche aiutare il cane a prendere fiducia in se stesso.

Scardinare un apprendimento può essere molto difficile, forse più difficile che modificare uno stato emotivo. Ma è possibile farlo, mostrando all’animale le alternative possibili e guidandolo ad uscire da schemi mentali troppo rigidi attraverso attività strutturate e costruttive.

La complessità del lavoro dei professionisti del settore

E’ evidente quindi che il lavoro dell’Educatore cinofilo, quello dell’Istruttore cinofilo e quello del Medico Veterinario comportamentalista sono tutt’altro che scontati e facili. Servono tanto studio, aggiornamento e tanta pratica.

I professionisti non hanno a che far solo con la parte animale della famiglia, ma anche con le persone che si occupano dell’animale, per guidarle a “mettersi dal punto di vista del cane”.

Ricordiamo…

Tutto ciò è possibile anche con cani di razze “particolari”, che si dice essere non controllabili senza metodi coercitivi? E’ possibile con cani aggressivi? E’ possibile con cani reattivi? Si.

E’ importante affidarsi a professionisti qualificati ed aggiornati*.

*Nota sulle figure professionali: nel mondo della cinofilia le figure di Educatore ed Istruttore cinofilo non sono ancora ben regolamentate, seppur si stiano facendo degli importanti passi avanti. In linea teorica, l’Educatore cinofilo si dovrebbe occupare di cani normocomportamentali, dal cucciolo all’adulto. Il suo compito è quello di guidare lo sviluppo corretto ed equilibrato del cane e di dare supporto alle famiglie nella gestione dell’animale in ambiente domestico, urbano e naturale. L’Istruttore cinofilo è colui che si occupa di attività sportive e/o di preparare i cani ad un lavoro. L’Istruttore cinofilo con competenze in riabilitazione progetta e svolge percorsi riabilitativi per animali affetti da patologie del comportamento, in collaborazione con il Medico Veterinario comportamentalista. Il Medico Veterinario comportamentalista, in quanto Medico, è l’unico che può diagnosticare patologie e prescrivere farmaci, porre diagnosi differenziali con patologie organiche, consigliare o sconsigliare interventi chirurgici come la castrazione.

Articolo della Dott.ssa Eva Ricci, DMV ed etologa

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