Gusto e scelta degli alimenti di cane e gatto

Il gusto e i gusti del singolo soggetto, sono la base della scelta degli alimenti, anche per cane e gatto. Se infatti alcuni (o forse la maggior parte dei cani), sono di gusti semplici, disposti ad ingerire una varietà di alimenti diversi, senza fare troppi problemi, le famiglie che vivono con i gatti o con alcuni cani sanno bene quanto possa essere difficile soddisfarli a volte.
Gusto di cane e gatto: dalla chimica alle emozioni
“[…], l’ingestione dell’alimento è un atto ricco di emozioni e sensazioni per un animale. La bocca di un cane e di un gatto ha incisivi atti alla prensione, canini sviluppati e costituiti per affondare nel corpo della preda e raggiungere i vasi fondamentali per la vita, premolari piccoli e appuntiti che assieme ai molari, anch’essi appuntiti, sono volti allo schiacciamento di ossa e parti dure.
Ingerire un alimento implica la decisione di farlo e in questo aspetto uomo, cane e gatto dimostrano grandi differenze. Se infatti l’uomo presenta molte gemme gustative (circa 9000), il cane ne ha meno di un quarto (1700 circa), a fronte però di uno sviluppo enorme della mucosa olfattiva nasale (da 18 a 150 cm2 nel cane vs 3-4 cm dell’uomo) [28]. L’olfatto gioca quindi un ruolo fondamentale nel cane moderno per la scelta dell’alimento. Questo ha certamente un senso, in ottica evolutiva: per cacciare grandi prede in branco, l’olfatto giocava un ruolo essenziale e questo si riflette nel moderno comportamento alimentare dei nostri cani domestici.
Il gatto, cacciatore notturno solitario, ha una mucosa olfattiva più sviluppata di quella dell’uomo (circa 20cm2) e un minor numero di papille gustative (solamente 470). Il gatto rispetto al cane ha un senso del gusto più sviluppato per l’amaro (fortemente avversivo) e l’umami, il gusto correlato alla presenza di nucleotidi e tessuti animali e che risponde anche al glutammato monosodico (presente tutt’ora in molti dadi da brodo). Il salato è maggiormente percepito, per quel che sappiamo, dal cane, mentre l’acido è un esaltatore di sapidità per entrambe le specie, nella corretta misura [29]. Infine, il gatto non percepisce il gusto dolce (non ha i recettori) al contrario del cane [30].

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Il sesto senso (del gusto): il tatto
Il gatto ha però anche quello che potremmo chiamare un sesto senso per il cibo: il tatto. Consistenza, forma, dimensioni e temperatura sono fondamentali per questa specie e possono fare la differenza fra l’accettazione e il rifiuto di un determinato alimento. Anche la vista gioca un ruolo centrale nella scelta dell’alimento per il gatto ed è questo il motivo per cui alcuni alimenti commerciali propongono crocchette di colori distinti.
Ricapitolando, se l’alimento viene in genere scelto in entrambe le specie sulla base del suo odore e quindi dell’olfatto, il tatto gioca un ruolo centrale dalla prensione dell’alimento in poi, specialmente nel gatto. Masticazione, forma, struttura e gusto giocano invece un ruolo fondamentale nella palatabilità dell’alimento, che porta poi quel singolo animale a rinnovare o meno la sua scelta per quell’alimento.
Preferenze alimentari del gatto
Anche se ancora non è del tutto chiaro come le preferenze alimentari del gatto siano legate ad esperienze passate, è probabile che queste giochino un ruolo anche in questa specie. I gattini sembrano fortemente influenzati dalle preferenze alimentari delle loro madri, pur rimanendo plastici nei confronti dell’alimento dopo lo svezzamento [31].
Persino le esperienze pre-natali potrebbero giocare un ruolo: uno studio ha evidenziato infatti come gattini esposti ai sapori del formaggio durante il periodo di vita uterino e postnatale, attraverso l’alimento materno, fossero più propensi a selezionare alimenti con questo aroma in seguito [32].
Anche la presenza fisica della madre al momento della scelta sembra giocare un ruolo nei gattini: un nuovo alimento al tonno veniva infatti accettato già dalla prima o seconda esposizione, se questa avveniva in presenza della madre, mentre erano richieste diverse esposizione prima che iniziassero a provare questo alimento se erano da soli [33].
La preferenza verso la dieta materna è definita come “effetto primacy” [31] e può essere correlata a neofobia verso gli altri cibi [34]. In linea generale, i gatti adulti mostrano spesso comportamenti neofobici, anche se alcuni possono gradire cambi rispetto alla monotonia degli alimenti conosciuti (selezione antiapostatica) [34].
In natura, questo evita, nel primo caso, di incappare in errori e alimentarsi di una preda tossica, nel secondo di avere una nutrizione incompleta [35]. Anche i gatti domestici esprimono questi comportamenti, con spesso una riduzione dell’appetibilità percepita del cibo somministrato ripetutamente o una neofobia spiccata e che potrà essere vinta solo da un connubio di pazienza e relazione da parte del proprietario“.
Il gatto e i carboidrati: questione di gusto!
Come abbiamo già visto in questo articolo, il gusto del gatto per il cibo è influenzato molto dalla quota di macronutrienti presenti. Se infatti proteine e grassi hanno generalmente un effetto positivo, con il gatto che mangia e poi torna a cercare quello stesso alimento, più la quota di carboidrati sale e più diventa spiacevole.
Nulla di nuovo sotto il sole, potremmo dire, essendo il gatto un ipercarnivoro.
Studi condotti sul gatto ferale, hanno infatti evidenziato come il gatto sia in grado di selezionare l’alimento, decidendo di non tornare a consumarlo se questo contiene più del 50-52% dell’Energia Metabolizzabile derivante da carboidrati. Questa soglia viene definita tetto dei carboidrati e rappresenta un comportamento molto interessante ed evidente in natura, solo parzialmente perso in contesto domestico.

Articolo estratto in parte dal libro di Maria Mayer, DVM, PhD, Master di II livello in Nutrizione del cane e del gatto “”Nutrizione e diete casalinghe per cani e gatti sani“, accreditato con 20 ECM.
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Bibliografia: disponibile nel testo citato.