Metodi coercitivi nell’educazione canina. Facciamo il punto.

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Metodi coercitivi nell'educazione canina

Metodi coercitivi nell’educazione canina e nella relazione cane-persona. Perché è importante parlarne?

L’intento di questo articolo è quello di fare una lettura di fonti scientifiche e dare un parere da professionista relativamente a questo argomento così dibattuto.

Cosa significa utilizzare metodi coercitivi (cioè violenti) nel training e nella relazione cane-persona?
Perché questi metodi sono deleteri?

La violenza in cinofilia

Punizioni fisiche come calci, strattonate attraverso il collare, frustate con il guinzaglio.
Utilizzo di strumenti che creano dolore, come ad esempio i collari “correttivi” (collari con le punte, elettrici, a strozzo).  Questi sono alcuni metodi purtroppo ancora utilizzati da alcuni professionisti e da alcuni proprietari.

Tutto ciò determina dolore fisico, stress e paura. Questi sono elementi che, oltre che andare a detrimento del benessere animale, non facilitano l’apprendimento né la costruzione di una buona relazione cane-persona.

La coercizione, però, non si esplica solo attraverso punizioni fisiche eclatanti.
E’ violenza anche l’inibizione sistematica dei comportamenti e delle motivazioni tipiche di specie e di individuo. Alcuni esempi: cammina in linea retta accanto a me altrimenti ti strattono, non annusare per terra, guarda solo me, ti isolo per punizione.

Perché la violenza è ancora accettata in cinofilia

Se volessimo parlare in termini molto generali dovremmo in realtà chiederci “perché nel mondo esiste ancora la violenza”? Argomento assai complesso…

Per quanto riguarda l’ambito cinofilo, esiste ancora chi utilizza questi metodi poiché influenzato da un retaggio antico. Ci deve sempre essere un qualcuno che comanda (l’uomo) e un qualcuno che ubbidisce (il cane), senza se e senza ma.
I comportamenti errati emessi dal cane devono essere sistematicamente inibiti perché sono espressione del desiderio del cane di dominare l’essere umano.

Talvolta si ottengono (apparenti) “buoni risultati”, che portano le persone a ritenere validi questi metodi. In realtà l’animale viene fortemente inibito, tanto da non manifestare più il comportamento “sgradito”.
La scomparsa del comportamento è quindi da ricollegare ad uno stato emotivo negativo, di paura, e non a una guarigione dell’animale. Né tantomeno a un acquisito rispetto nei confronti del presunto “capobranco”.

La letteratura scientifica e i metodi coercitivi nell’educazione canina

In letteratura esistono vari papers ed editoriali relativi a questo argomento.
Alcuni sono recenti, altri meno, questo testimonia come già da tempo siano sorti dubbi riguardo al rapporto tra coercizione e rispetto del benessere animale.

L’opinione di esperti di fama internazionale

Karen Overall, Medico Veterinario comportamentalista, spiega che l’utilizzo di collari “correttivi” non serve per risolvere i problemi comportamentali degli animali, ma determina uno stato di paura e impotenza appresa, che può permanere nel tempo.

Il concetto di impotenza appresa è conosciuto in medicina e psicologia da molti anni (studi di Seligman).
Individui posti continuamente in condizioni sulle quali ritengono di non potere in alcun modo intervenire per controllarle e modificarle, tendono a sviluppare un senso di impotenza. Esso può anche estendersi oltre l’evento specifico sperimentato.
Questo vale per gli umani e per gli animali non umani.

Per Overall, l’utilizzo di tali strumenti su cani con patologie del comportamento “farebbe peggiorare i miei pazienti ansiosi e permetterebbe alla rabbia dei miei clienti di raggiungere livelli non utili e probabilmente dannosi” [1].

Violenza e benessere

L’utilizzo di metodi e strumenti coercitivi non può mai essere rispettoso del benessere psico-fisico dell’animale.

Inoltre, può portare a peggioramenti nel comportamento del cane, tra i quali un aumento dell’aggressività, rendendolo ancora meno gestibile e pericoloso.

L’utilizzo da parte dei proprietari di strumenti e metodi coercitivi rischia di rovinare la relazione o di distruggerla in partenza.
Anche i vecchi miti della dominanza a tutti i costi devono essere via via sfatati [2].
Questo concetto, infatti, viene interpretato in modo molto fuorviante. Viene utilizzato per giustificare i metodi impositivi.

Approcci alternativi (e migliori!)

L’alternativa ai metodi coercitivi esiste, ed è l’utilizzo di rinforzi positivi e di un approccio cognitivo-relazionale.

E’ stato appurato, attraverso studi sperimentali, che cani da lavoro raggiungono risultati più alti nelle performances quando i trainers utilizzano rinforzi positivi rispetto a cani addestrati con punizioni. 
Inoltre, l’utilizzo di metodi coercitivi è associato a problemi comportamentali come ansia, stress, aggressione ed eliminazioni inappropriate.

Oltre all’utilizzo dei rinforzi positivi “materiali” (gioco, cibo), è necessario costruire una robusta relazione tra l’animale e il proprietario. Questa è una delle chiavi per avere successo nell’educazione e nel recupero di problemi comportamentali. E’ stato infatti dimostrato che il proprietario funge da base sicura per il proprio cane. Una base da cui partire e tornare per esplorare il mondo (ne parlo anche qui e qui ).

Il ruolo del proprietario è quello di guida, ma la relazione non deve essere a senso unico.
Sono necessari rispetto, fiducia e complicità.

Chirù ed Eva, foto di Marco Buratti

Danni fisici e psicologici legati a metodi e strumenti coercitivi

Per quanto riguarda i danni fisici, vi sono case reports di pazienti danneggiati dall’utilizzo del collare a strozzo. Oggigiorno non è possibile effettuare studi sperimentali sottoponendo appositamente i cani a punizioni fisiche. Studi del genere non sarebbero accettati dai comitati etici delle università e dei centri di ricerca.

Recentemente è stato pubblicato uno studio che ha indagato gli effetti dell’addestramento condotto con diverse modalità sul benessere animale.
La ricerca è stata effettuata osservando sessioni di training in diversi centri cinofili. I risultati mostrano che i cani che sono stati addestrati utilizzando metodi punitivi hanno un livello di benessere inferiore rispetto ai cani addestrati utilizzando metodi basati sulla ricompensa, sia a breve che a lungo termine.

In particolare, i cani che frequentano le scuole con metodi avversativi, hanno mostrato segnali di stress durante le sessioni, e maggiori livelli di cortisolo dopo le sessioni. Inoltre, erano più “pessimisti” (si scoraggiavano facilmente) in un compito cognitivo rispetto ai cani che frequentavano le scuole con approccio non punitivo.
Infine, è stato evidenziato che, maggiore è la frequenza di stimoli avversativi utilizzati, tanto maggiore è l‘impatto sul benessere a breve e lungo termine [3].

Rifiutare i metodi violenti ed impositivi è fondamentale

In relazione a ciò che ci mostra la letteratura, l’utilizzo di metodi e strumenti che causano dolore, stress e paura non è più accettabile.
Non sono rispettosi del benessere animale, rischiano di peggiorare problemi già esistenti e di rovinare la relazione tra l’animale e la persona. Questo vale sia per i cani di famiglia che per quelli di canile.

Solitamente, ciò che viene perseguito attraverso metodi coercitivi è l’estinzione del comportamento, non la comprensione delle motivazioni e degli stati emotivi sottostanti.

“Strumenti” e “metodi”

Sottolineo che sono convinta che “metodi” e “strumenti” siano due aspetti distinti.
Ma nella pratica si può osservare che spesso chi sceglie di utilizzare metodi coercitivi utilizza anche determinati strumenti e viceversa.

Il collare a strozzo, ad esempio, è conformato a cappio. E’ nato appunto per strozzare ed inibire. Il senso di soffocamento o la paura di sentirsi stringere il collo portano panico, indipendentemente dalla robustezza del collo del soggetto.
Anche evitando di strattonare fortemente o soffocare, un collare di questo tipo crea un disagio, un fastidio.

Si può insegnare qualcosa ad un cane senza mettergli strumenti addosso e senza mai toccarlo.
Tranne, ovviamente, il guinzaglio quando è in luoghi pubblici e museruola se richiesto dalle autorità competenti.

Alla scelta di particolari strumenti si accompagna spesso una visione antiquata del rapporto cane-uomo, basata sull’idea che il cane debba essere sottomesso al proprietario con durezza, al fine di “non fargli scalare la gerarchia”.

Metodi coercitivi nell’educazione canina. Violenza chiama violenza

Al dì la degli strumenti utilizzati, l’approccio coercitivo tende a togliere ai cani qualsiasi iniziativa. La possibilità di annusare, esplorare, marcare ed esprimere il proprio disagio attraverso determinati comportamenti viene inibita. Questa visione è – o dovrebbe essere – ormai superata.

Sappiamo che la violenza chiama violenza, questo vale sia per l’uomo che per gli animali non umani.

Cane e essere umano appartengono a specie diverse, e le differenze non devono mai essere dimenticate.
Tuttavia vi sono molte similarità nel cervello delle due specie e in particolare i circuiti cerebrali che hanno a che fare con le emozioni sono sovrapponibili.

 Regole o non regole?

Tutto ciò non significa non dare regole o umanizzare gli animali. Significa rispettarli.
Questo vale in qualsiasi ambito della cinofilia, sia che si parli di educazione base, che di sport, che di recupero di cani con problemi comportamentali.
Medici Veterinari comportamentalisti ed istruttori cinofili in Italia e nel mondo riabilitano anche cani molto aggressivi e pericolosi senza usare violenza.

L’annosa questione degli psicofarmaci

Rifiutare l’utilizzo di metodi violenti nella riabilitazione comportamentale non significa neppure “riempire il cane di psicofarmaci”, come taluni dicono senza conoscere la realtà della medicina comportamentale.

I Medici Veterinari con competenze in comportamento valutano il cane e tutto il sistema famiglia.
Considerano motivazioni ed emozioni sottostanti ai problemi. Costruiscono poi un percorso terapeutico globale.

Ci sono molti casi in cui i Medici veterinari con competenze in comportamento non somministrano psicofarmaci. Tuttavia, quando ciò accade, questi vengono prescritti in scienza e coscienza al fine di aiutare l’animale a stare meglio emotivamente per affrontare il percorso pratico. Non al fine di sedarlo.

Metodi coercitivi nell’educazione canina. Il compito dei Medici Veterinari

Dalla costruzione della relazione cane-famiglia, all’educazione, alla riabilitazione, il Medico Veterinario dovrebbe saper dare informazioni aggiornate ai proprietari. E dovrebbe inviare ai colleghi con competenze in comportamento, agli educatori o istruttori cinofili quando necessario.
Anche in questo modo assolve al compito di tutela del benessere animale e della salute pubblica.

E’ necessario pensare all’animale (e “curarlo”) come un tutt’uno di corpo e mente.

Un dolore o anche solo un fastidio fisico, come quello causato da metodi e strumenti violenti ed impositivi, ha impatto sulla mente e sulle emozioni.
Uno stato emotivo di rabbia, di paura, di frustrazione, al quale si va incontro utilizzando i suddetti metodi, non fa stare bene il corpo.

Concludo con la mia esperienza ed opinione professionale

Da sempre ritengo che siano il rispetto dell’individuo, delle sue emozioni, dei suoi bisogni e il rifiuto di ogni violenza che funzionano – davvero – e rendono migliore la vita degli animali e delle persone che li accompagnano.

[1] Overall 2007. Considerations for shock and ‘training’ collars: Concerns from and for the working dog community. Journal of Veterinary Behavior 2, 103-107.

[2] Bradshaw et al. 2009. Dominance in domestic dogs-useful construct or bad habit? Journal of Veterinary Behavior 4, 135-144.

[3] de Castro et al., 2019. Does training method matter?: Evidence for the negative impact of aversive-based methods on companion dog welfare. doi: https://doi.org/10.1371/journal.pone.0225023.

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